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giovedì 18 marzo 2010

Riflessioni

Sono tornata da un incontro che riguardava le strategie e gli strumenti ad oggi attuabili per affrontare i DSA ed ho ascoltato molti interventi di genitori coraggiosi ed ostinati che si sono impegnati e si impegnano quotidianamente nel pretendere che i loro figli ricevano dalla scuola ciò che questa avrebbe il dovere di garantire a tutti.
Ho sentito anche la voce di alcuni colleghi e mi sono sentita a disagio come, ahimé, purtroppo, mi capita spesso negli ultimi tempi...
Tante, belle, TROPPE parole.
Credo che adesso la scuola abbia davvero bisogno di più fatti, di persone preparate, competenti ma pronte a mettersi in gioco, rapportandosi quotidianamente con i bambini, imparando a riconoscerne esigenze e difficoltà che solo un professionista attento può cogliere.
Oggi ho sentito accampare per l'ennesima volta la scusa che la scuola "non ha soldi" per poter investire sugli strumenti compensativi necessari per venire incontro ai bambini affetti da DSA. Ma noi insegnanti siamo un formidabile capitale umano e io conosco colleghi a cui basta anche solo uno sguardo, non l'utilizzo di un software, magari nemmeno opensource, per ottenere un risultato da alunni cosiddetti difficili.
La dislessia è un problema ma il suo riconoscimento precoce permette a quasi tutti i bambini di poter "pareggiare i conti" con chi non ne è affetto.
Che giustificazione abbiamo davanti a genitori che dichiarano di aver ricevuto una diagnosi di DSA solo quando il figlio aveva 14 anni??
Noi insegnanti stiamo facendo davvero tutto il possibile?
Oltre alle tante, belle, TROPPE parole, ci interessano ancora i bambini?
Ho ritrovato questo pezzo di Gaber e mi ha fatto bene riscoltarlo...


"Non insegnate ai bambini la vostra morale; è così stanca e malata che potrebbe far male. Forse una grave imprudenza è lasciarli in balia di una falsa coscienza. Non elogiate il pensiero che è sempre più raro; non indicate per loro una via conosciuta ma se proprio volete insegnate soltanto la magia della vita. Giro giro tondo cambia il mondo. Non divulgate ai bambini illusioni sociali, non gli riempite il futuro di vecchi ideali: l'unica cosa sicura è tenerli lontano dalla nostra cultura. Non esaltate il talento che è sempre più spento, non li avviate al bel canto, al teatro alla danza ma, se proprio volete, raccontategli il sogno di un'antica speranza. Non insegnate ai bambini ma coltivate voi stessi, il cuore e la mente; stategli sempre vicini, date fiducia all'amore: il resto è niente. Giro giro tondo cambia il mondo".

venerdì 5 marzo 2010

Dopo 12 anni è ancora così?

Mi è capitato di leggere questo articolo in una ricerca che stavo facendo su apocalittici e integrati in riferimento al rapporto con le nuove tecnologie.
Solo a lettura terminata, ho letto che si trattava di un articolo del 15 luglio 1998 e sono rimasta senza parole!
In dodici anni mi sembra che sia cambiato molto poco e quanti "Don Ferrante" si trovano ancora nella nostra povera scuola...

I nemici della scienza? Apocalittici e integrati
Il manifesto dei "tecnorealisti" I nemici della scienza? Apocalittici e integrati Nel lanciare una nuova sezione dedicata alla tecnologia, il New York Times ha posto ai suoi lettori il seguente dilemma: "Siete tecnofili o tecnofobi?". Quasi che l'avvento dell'elettronica e dell'ingegneria genetica obbligasse a una sorta di bipolarismo, di uninominale secca: o di qua o di la'. O nostalgici di Gutenberg o drogati dal computer. O farmaco - dipendenti o seguaci della medicina ayurvedica. Ma ecco che un gruppo di intellettuali americani, anzi di "digerati", come si e' autobattezzata l'elite dell'era digitale, rompe gli schemi e propone una "terza via": il "tecnorealismo". Un manifesto della nuova scuola di pensiero si trova da qualche tempo "affisso" su Internet (al sito www.technorealism.org). Primi firmatari David Shenk, Steven Johnson, Andrew Shapiro e altri santoni della Net Generation. "Il tecnorealismo - spiegano - si propone di demolire alcuni luoghi comuni, tra cui quello che la tecnologia possa risolvere tutti i problemi del mercato, come l'ineguaglianza e il monopolio, o il mito speculare che i mercati possano risolvere tutti i problemi della tecnologia (come la tutela della privacy e la garanzia di un accesso universale)". Negli otto punti del manifesto si legge per esempio che "le tecnologie non sono neutrali, ma si presentano cariche di precise valenze sociali, politiche ed economiche, in parte intenzionali in parte no"; che "Internet e' rivoluzionario ma non utopico" e che lo Stato ha un importante ruolo da giocare sulla frontiera elettronica: "E' follia sostenere che il governo non abbia giurisdizione su cio' che cittadini devianti o imprese fraudolente possono compiere sulla rete... Le questioni legate alla riservatezza sono troppo delicate per essere lasciate in balia del mercato". Ancora: la tecnologia non e' conoscenza, e non sara' un computer su ogni banco a salvare la scuola dal declino. Infine, il punto piu' decisivo: "La comprensione della tecnologia dovrebbe essere una componente essenziale della cittadinanza globale". Siamo sul piano delle enunciazioni astratte, ma e' comunque un buon avvio di discussione. E siccome Internet abbraccia l'intero pianeta, tutti sono invitati a partecipare, senza barriere di lingua o di nazionalita'. Eppure finora, tra le centinaia di adesioni giunte perfino dalla Romania e dal Venezuela, i nomi italiani saranno si' e no quattro o cinque, e nemmeno uno eccellente. Sara' perche' i nostri intellettuali frequentano piu' i salotti televisivi che il ciberspazio, o non hanno avuto la ventura di transitare per quel sito. O piu' banalmente perche', in fatto di scienza, restano ancorati al bipolarismo. Apocalittici o integrati. Ondeggiano tra l'entusiasmo per il nuovo farmaco anticancro e l'indignazione per la "direttiva Frankenstein". Tra gli sghignazzi di Dario Fo sull'uomo - maiale e l'accattivante positivismo di Piero Angela. In mezzo c'e' il deserto delle idee, un vuoto di conoscenza che riguarda un po' tutti, ma in misura piu' grave e imperdonabile quelli che avrebbero il compito di formare l'opinione pubblica e di educare le nuove generazioni. Le primedonne dello star system cultural - mediatico sono troppo impelagate nei battibecchi sul nichilismo di destra e di sinistra, sull'attualita' di Leopardi o sulle differenze tra Francisco Franco e Mussolini, per avere il tempo di dare uno sguardo al paesaggio tecnologico che cambia intorno a loro. Un po' come il don Ferrante manzoniano che nel secolo di Keplero, di Bacone e di Cartesio consumava le sue giornate sulle pagine di Aristotele, a discettare di "quiddita". Ci sono per fortuna le eccezioni, Umberto Eco, Gianni Vattimo, il gruppo di Politeia, i giuristi e filosofi che hanno redatto il "manifesto per una bioetica laica". E merita di essere segnalato il libro di Giorgio Israel, Il giardino dei noci (Cuen edizioni), che contro gli opposti rischi dell'Illuminismo scientista e del misticismo New Age propone "un nuovo razionalismo aperto, critico e costruttivo", capace di conciliare le diverse forme di conoscenza con l'etica umanistica. Ma il grosso dell'intellighentia si tiene alla larga da queste problematiche. Molti si sono convertiti al computer e al telefonino. Ma quanti hanno letto Jacques Monod, o Frannois Jacob, o la storia della "doppia elica" di Jim Watson? Quanti sanno di che parlano quando tirano in ballo la biologia molecolare o la fisica delle particelle? I piu' si accontentano di riciclare frammenti del discorso scientifico a puro scopo esornativo. Come Baudrillard per il quale le guerre moderne si svilupperebbero in uno "spazio non - euclideo" o Deleuze che affabulava di "velocita' infinite" e di "virtuale caotico". E dio solo sa che cosa voleva dire.

Chiaberge Riccardo


Pagina 31
(15 luglio 1998) - Corriere della Sera
http://archiviostorico.corriere.it/1998/luglio/15/nemici_della_scienza_Apocalittici_integrati_co_0_980715743.shtml